Dal FORUM COMUNICAZIONE 2025, proponiamo l'approfondimento del Tavolo Tematico
| #marketing #strategy | MARKETING INNOVATIVO: STRATEGIE PER ANTICIPARE IL FUTURO.
C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’innovazione nel marketing significava inventare un nuovo “tone of voice” o sperimentare un formato adv non convenzionale. Oggi non basta più. L’arrivo dell’intelligenza artificiale (in particolare la generativa) sta ridisegnando, con grande velocità, i confini della creatività, della comunicazione e perfino dell’autenticità. E la domanda che il settore si pone non è solo “cosa possiamo fare con l’AI?”, ma soprattutto: “cosa resta autentico in un mondo dove tutto può essere simulato alla perfezione?”.
Quello che stiamo vivendo non è un semplice “upgrade”. È un cambio di codice. Stiamo passando da un paradigma di ottimizzazione a uno di “re-coding” e “re-shaping”: l’AI riscrive i processi cognitivi e operativi del marketing, plasma le esperienze, suggerisce decisioni e crea contenuti. Un cambiamento che tocca tanto il linguaggio quanto la strategia, tanto le metriche quanto le emozioni. La cosiddetta decision intelligence – l’AI come co-pilota dei processi decisionali – è già realtà: analisi predittiva, simulazioni, modelli prescrittivi. Chi lavora con budget pubblicitari, CRM o gestione della customer experience sa quanto questa capacità di interpretare i dati (e di trasformarli in azione) stia diventando il nuovo vantaggio competitivo.
Mentre le aziende si affannano a integrare questi strumenti, spesso con un certo pudore, come se ammettere l’uso dell’AI fosse una colpa, l’industria si trova a fare i conti con una delle parole più abusate e contemporaneamente più sfuggenti del vocabolario marketing: autenticità. Ma che cos’è oggi un contenuto autentico? Se un video è stato generato da un prompt e rifinito da un creative strategist, è autentico o no? Se la caption è scritta da un’intelligenza artificiale, ma nasce da una tensione emotiva reale del brand, possiamo ancora parlare di verità? La distinzione tra vero e verosimile, tra umano e macchinico, diventa sottile. Anzi: praticamente invisibile. Con l’arrivo dei nuovi modelli come GPT-4, Claude o Sora, i contenuti generati da AI non si riconoscono più a colpo d’occhio. E forse non è nemmeno questo il punto. Il vero problema non è se un contenuto è generato da una macchina, ma se è coerente alla brand identity, differenziante e rilevante per il pubblico.
Per questo il rischio maggiore non è l’uso dell’AI in sé, ma la fotocopiatura creativa: brand concorrenti che, usando prompt simili, finiscono per generare campagne indistinguibili. Ecco perché i dati proprietari diventano l’oro della nuova creatività: solo ciò che è specifico e unico può nutrire contenuti davvero diversi.
Oggi il contenuto non vive più in un piano editoriale granitico. Vive nel flusso, nella reazione rapida, nell’abilità di rispondere in ore o minuti a un trend, un evento, una provocazione. Ma come mantenere la coerenza di brand in questo contesto?
La risposta è un nuovo equilibrio tra strategia e spontaneità. Tra un’identità solida e una governance snella. Servono team ibridi, capaci di lavorare con workflow modulari, e soprattutto serve una nuova cultura della sperimentazione: always beta, come direbbero gli americani. Dove si testa, si misura, si sbaglia (in fretta) e si corregge (subito).
E se i contenuti AI-made si faranno sempre più indistinguibili, sarà la reputazione di chi li veicola a fare la differenza. In questo senso, l’autenticità non sarà più una questione di “chi ha scritto cosa”, ma di “chi ci mette la faccia”.
Chi ha vissuto la comunicazione “pre-AI” è portato a porsi la domanda sull’origine dei contenuti.
Ma i più giovani, i veri protagonisti del mercato futuro, probabilmente non faranno questo tipo di distinzione.
A loro interesserà che il contenuto sia vero per loro, rilevante, utile, stimolante. In questo senso, “autentico” sarà ciò che risuona con la loro esperienza. Poco importa se lo ha scritto una persona, un modello linguistico o entrambi.
La sfida per i brand sarà allora duplice: dotarsi di sistemi interni in grado di usare bene l’AI (tool, competenze, processi), ma anche ascoltare costantemente la propria community. Perché solo l’ascolto permette di evitare l’omologazione e mantenere il contatto con l’identità profonda del proprio pubblico.
In conclusione, l’AI non è una minaccia per il marketing. È un acceleratore. È un microscopio e un megafono. Ma, come ogni strumento potente, funziona solo se chi lo usa ha una visione chiara, un’etica salda e una cultura aperta all’ibridazione.
Il contenuto autentico del futuro? Sarà quello che saprà mescolare strategia e intuito, tecnologia e umanità, dati e immaginazione. E che, soprattutto, saprà fare qualcosa che l’AI da sola non sa ancora fare: emozionarci davvero.
Moderatore: Alessandro Noto, Marketing & Digital Communication Strategist.
Sono intervenuti:
Anna Maria Fusi, Head of Marketing & Communication / Laika;
Luce Landolfi, Head of Marketing / Walliance;
Luigi Maccallini, Associate in Marketing, Ecosistemi Digitali e Innovazione / WellMakers by BNP PARIBAS;
Alessandra Monti, Marketing CRM & Product Innovation Manager / Axpo Italia;
Alessandra Perera, Trade and Digital Marketing Officer / Italdesign;
Federico Pupeschi, Communication Manager / GreenGo;
Antonio Sapone, CMO / FoolFarm.